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venerdì 14 ottobre 2011

Don Chisciotte, l'illuso che aveva ragione

Intorno a me non lo vedevo e non lo conoscevo il verbo amare. Avevo appena letto il Don Chisciotte intero e mi ero confermato. Dulcinea era latte cagliato nel cervello del cavaliere eroico. Non era dama e si chiamava Aldonza. Ho saputo poi che per i lettori è un libro divertente. Lo prendevo alla lettera e mi faceva piangere di rabbia la batosta che doveva subire a ogni capitolo.
I suoi cinquant'anni arditi e rinsecchiti erano per me a quel tempo l'età di cornicione per chi rasenta l'abisso del sonnambulo. Temevo per Chisciotte da un capitolo all'altro. Giusto la mia malizia di lettore mi rassicurava: il libro conteneva pagine davanti a centinaia, non poteva morire nelle prime. Mi faceva lacrime di rabbia lo scrittore che ammaccava di colpi la sua creatura. E dopo le bastonate, le sconfitte, a maggior penitenza gli spalancava gli occhi, lo squarcio di un momento, per fargli vedere la realtà miserabile com'era. E invece aveva ragione lui, Chisciotte, secondo i miei dieci anni: niente era come sembrava. L'evidenza era un errore, c'era dovunque un doppio fondo e un'ombra. (E. De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli)
Direbbe un altro grande autore a me caro: l'essenziale è invisibile agli occhi. E allora qualche volta vale la pena aprire il cuore, rinunciare all'ovvio e lasciare spazio all'improbabile e all'inatteso.

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