Articolo di Dino Pirri, pubblicato dalla rivista "Rogate Ergo", giugno-luglio 2012, p.42-44
Da tanti anni
andavo desiderando di percorrere le strade del Cammino di Santiago de
Compostela. Sempre rimandando tutto, anno dopo anno. Avevo letto tante guide ed
esplorato numerosi siti web. Avevo incontrato alcuni amici che avevano vissuto
quel pellegrinaggio.
Poi nel 2007 la decisione. Il permesso
del Vescovo per allontanarmi per un mese dalla parrocchia, la condivisione del
mio progetto con i parrocchiani, la ricerca di chi avesse supplito alla mia
assenza. Poi l’organizzazione del viaggio, lo studio delle tappe, la ricerca
dell’attrezzatura più adatta.
La partenza
Il 29 giugno 2008, finalmente, iniziava
il mio pellegrinaggio. Il giorno seguente ero a San Jean Pied-de-Port, alle
pendici dei Pirenei. E il primo giorno di luglio la prima tappa a piedi fino a
Roncisvalle, praticamente in solitaria, poiché avevo deciso di partire da solo.
Scrivevo a fine giornata: “La lettura del vespro diceva: che gioia ci ha dato
il Padre di essere chiamati sui figli. Quella di essere figlio nelle mani del
Padre è l'esperienza che ho fatto oggi. Alcuni incontri, l'acqua fresca, il
vento che mitigava l'irruenza del sole”. Da lì in avanti non mi sarei più
sentito solo! Misteriosamente.
Come riassumere gli 800 chilometri
percorsi in un mese, oppure raccontare degli incontri vissuti, i volti e gli
abbracci, i dolori e la misteriosa energia che ogni mattina spinge a camminare
ancora? Riassumo così: ho imparato ad essere pellegrino!
Ho abbandonato ogni programma e le
minuziosi previsioni, limitandomi ad accogliere semplicemente tutto come dono. Invece
della “guida” ho cominciato a camminare secondo
il ritmo antico della terra, contando i passi, senza rimanere più di un
momento in ogni luogo, eppure sentendomi sempre e ovunque a casa.
Gli occhi, le gambe e i
piedi, le braccia e le mani, il cuore continuamente provocati dalla gratuità.
Rinvigoriti dalla gratitudine e dalla compagnia di tanti fratelli e sorelle.
Sempre nella gratuità e nella gratitudine ho vissuto giorni attraversati dal coraggio
e dal rimpianto, dal dolore e dalla forza. La gioia per l’amico ritrovato
e la nostalgia per chi è ormai altrove.
Le domande della strada
E dopo la montagna e le
verdi vigne, i villaggi pittoreschi e lo stupore per ogni avvenimento, sono
arrivati i giorni della meseta. Del deserto che insegna la purezza
dell’essenzialità e la potenza della Grazia. Ho avuto l’occasione di camminare
in silenzio, e spesso nel dolore fino alle lacrime. E nella precarietà ho
potuto guardare in faccia il mio peccato, senza accampare scuse e senza paura, scoprendo
davanti a me un orizzonte sconfinato che mi indicava molto di più che un luogo
geografico. La strada mi chiedeva di rivisitare la mia intera esistenza, per
cercare la vera meta, che è la felicità.
E mentre la strada
polverosa mi è apparsa come un deserto in fiore, reso prezioso da ogni storia
che sono riuscito a raccogliere, da ogni persona che ho imparato ad amare.
E quando sono iniziati
i giorni della rigogliosa Galizia, cresceva in me la consapevolezza che “vicino”
e “lontano” - termine spesso utilizzato nelle nostre comunità - sono dettagli
inutili per il mio cuore ricco di fratelli e sorelle, nomi che ancora
porto nel cuore.
Finalmente il 29 luglio
2008 entravo nel santuario di San Giacomo, dopo una lunga tappa di 40
chilometri, con Sara, Walter e Cristina. Scrivevo in quel giorno: “Ormai i
doloretti non li sento neppure più: le gambe vanno da sole, per conto loro; la
testa ed il cuore, a volte vorrebbero tornare indietro, a volte vorrebbero già
essere a casa. Ma sono gambe, testa e cuore felici! In questi giorni, persi
nelle foreste galiziane, cominciamo tutti a pensare al rientro alla normalità e
alla verifica del cammino fatto. Come dice Gesù: beato quel padrone di casa che
sa tirare fuori cose antiche e nuove. Così spero! Tornare alla vita consueta,
nuovo! Vivere la mia storia di sempre, nella novità continua!”.
Il giorno dopo, alla
messa del pellegrino delle 12, ci siamo ritrovato con coloro che avevano
accelerato il passo o erano rimasti un po’ indietro. Ci siamo abbracciati.
Prima di tornare in
Italia, la sosta a Finisterre, per contemplare l’oceano, per prepararsi al
ritorno. Per me era essenzialmente il ritorno in parrocchia. Ma
inaspettatamente, appena qualche giorno dopo il mio rientro, mi veniva chiesto
di abbandonare i miei programmi: la proposta di mettermi a servizio dell’Azione
Cattolica, come assistente nazionale dell’ACR. Il mio pellegrinaggio continua
ancora oggi, attraverso gli incontri che sono chiamato a vivere in tutta Italia.
Con occhi sempre curiosi, cuore aperto, gambe pronte.
Nostalgia del cammino
A distanza di qualche
anno continuo ad essere pellegrino e ad avere nostalgia del Cammino. So che
appena il Signore vorrà percorrerò ancora quelle strade, che hanno
profondamente cambiato il mio modo di vedere il mondo e di essere prete.
Tre cose in particolare
porto nel cuore: la consapevolezza dei miei limiti e della misericordia di Dio;
la bellezza di condividere strada, idee e pensieri con tutti; la certezza di
essere sempre un po’ forestiero, ma mai solo. Cerco di ricordarlo ogni giorno
nell’ascolto della Parola e nell’eucaristia, nel servizio alla Chiesa,
nell’incontro con tutti. Continuo ad annotare qualcosa in un blog in cui sarete
sempre i benvenuti (www.appuntidiunpellegrino.blogspot.com).
Il mio peregrinare, le
mie scoperte, gli orizzonti aperti e le fatiche, le domande e le inquietudini
ho provato a raccoglierle anche in un libro appena pubblicato, nel quale così
descrivo il mio Cammino verso Santiago de Compostela: “Ho vissuto 29 giorni soltanto
con il mio zaino, con pochissime cose, che era quasi impossibile
perderle, camminando finalmente libero. Così i miei pensieri si sono
purificati. Ho ricordato che la Chiesa è luogo di incontro. Riparo dalla
calura e rifugio per chi è solo. Comunità di coloro che sanno porsi domande
autentiche, rischiando di perdersi nel mistero ma rinunciano a
confezionare risposte sterili. Così non ho più risposte. Solo domande. E
finalmente sono libero. Perché Gesù cammina con me e lo riconosco nel
volto di chi mi è accanto” (Dino Pirri, Dalla sacrestia a Gerico, editrice Ave).
Lungo il cammino ho
scritto: “Chi fa' il Cammino, il pellegrino non è né un pazzo né un eroe. Il
Cammino non è un assoluto, ma un piccolo "gioco" che rappresenta la
vita. Le sofferenze, le difficoltà, gli imprevisti sono poca cosa rispetto al
gioco più grande della vita. Tanto per dire che nel "piccolo gioco"
si sperimenta la presenza del Signore, che certo non si perderà nel
"grande gioco" della Vita. Io lo so ormai e lo ricorderò per sempre: spero
anche voi! E credo che non sia importante cosa troverò a Santiago, ma il
cammino percorso e cosa troverò al ritorno. Poiché non si cammina per trovare
qualcosa, ma ci si mette in marcia proprio perché si è trovato il Tutto.
Credo”.
A coloro che si sentono
chiamati a recarsi presso la tomba dell’apostolo Giacomo, sento di dover dire
con semplicità Ultreya! Come usano
salutarsi i pellegrini: Avanti!
E come pellegrino, la mia speranza è che prima o poi la tua strada incroci quella che porti verso il gruppo ACR di Pantelleria.
RispondiEliminaGrazie per ogni tuo scritto
Francesco
Difficile capitarci. Sono stato nella diocesi, ma l'isola mi manca. Magari ci si organizza. Speriamo.
RispondiElimina